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La vita come Jam Session di D. Gabriele

Quando un jazzista suona in gruppo, un bravo jazzista intendo, egli sa riconoscere il momento in cui tocca a lui emergere e quanto tempo deve restare lì in alto a eseguire il suo solo. Poi si riimmerge come un pesce volante che vola per alcuni secondi fuori dall’acqua e poi vi fa ritorno.

Quando un gruppo di musicisti decide di creare una Jam Session, termine con cui si vuole indicare un momento in cui ognuno improvvisa su un tema e su un’armonia comune, tale gruppo deve essere ben amalgamato. Non contano tanto le caratteristiche individuali di ogni musicista, quanto la capacità di entrare in empatia con tutti gli altri, per raggiungere l’obiettivo di dare il proprio apporto all’esecuzione e alla creazione di nuove melodie e armonie improvvisate. Il tema (un canovaccio armonico con una melodia che i musicisti utilizzano come punto di riferimento, proprio come facevano nell’ambito teatrale i guitti della Commedia dell’arte) è il fiore e le sue note il nettare, che i musicisti, come api in un alveare, utilizzano per improvvisare e creare nuove armonie e nuove melodie individuali, ma ben amalgamate. Ne nasce un prodotto nuovo, che prima non c’era, il “miele” caratteristico di quel gruppo.

Un buon musicista nella Jam Session deve avere queste caratteristiche: capacità di imporre la sua creatività al gruppo, ma nello stesso tempo saper lasciare lo spazio alla creatività degli altri, dunque deve avere identità e sicurezza, capacità di darsi e di riprendersi; deve essere sempre presente e cosciente di dove si trova in ogni momento (misura dello spartito) del tema musicale e deve saper ascoltare e farsi fecondare a catena da ciò che creano gli altri e… dalla sua stessa creazione! Dunque deve avere una meta chiara un buon senso dell’orientamento e deve sapersi innamorare e appassionare senza esitazioni (nell’improvvisazione non si può esitare, carpe diem); In un gruppo possono esserci varie sezioni, ritmica, fiati ecc… che formano dei sottogruppi, i quali però per funzionare bene devono sapersi integrare nella globalità, rispettando i momenti, i volumi e le opportune enfatizzazioni che richiede il pezzo.

Dunque ci sono delle regole da sposare e un progetto di pochi minuti da servire con passione nella Jam Session e forse, in quel breve tempo dell’esecuzione, i jazzisti sono dei cosmo-artisti creatori di Bellezza Seconda.

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